«Donne, da voi non poco la patria aspetta». Il modello femminile proposto da Giacomo Leopardi

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L’ultimo articolo e passo conclusivo di questo piccolo excursus, principalmente letterario, all’interno della costruzione femminile e maschile nel discorso risorgimentale riguarda una delle canzoni del celebre autore marchigiano Giacomo Leopardi. Nelle nozze della sorella Paolina è una canzone che viene composta dal poeta a Recanati tra l’ottobre e il novembre del 1821, in occasione del matrimonio organizzato (ma non portato a termine, visto che Paolina non si sposerà fino alla morte e sarà costretta dunque a rimanere a Recanati) della sorella con uomo di Sant’Angelo in Vado. La poesia fornisce numerosi spunti di riflessione, alcuni già ritrovati nelle precedenti analisi; non è nostra intenzione analizzare l’intera canzone, ma piuttosto di mettere in evidenza alcuni passi che permettono di capire al meglio il modello femminile che in questa canzone Leopardi vuole proporre.

La canzone comincia dunque con l’apostrofe alla sorella Paolina, che sta lasciando il «patrio nido», la famiglia; Leopardi fa riferimento alla figura del padre per indicare l’intero nucleo familiare, i beni patrimoniali e il luogo di nascita, dal momento che di fatto ne costituisce il padrone e il gestore: bisognerà attendere il 1975 per l’introduzione della parità di diritti nella coppia coniugale in Italia, con la riforma del diritto di famiglia.

(…) l’obbrobriosa etate
Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Sorella mia, che in gravi
E luttuosi tempi
L’infelice famiglia all’infelice
Italia accrescerai. Di forti esempi         
Al tuo sangue provvedi. (…)

Paolina è vista come fin da subito come generatrice di figli per la patria. Non è posta alcuna alternativa, perché di fatto non può essere nemmeno concepita; il ruolo femminile è quello di madre ed educatrice all’interno di una costruzione più ampia di modello femminile di antichissime radici: nel riconoscimento della differenza sessuale come manifestazione della basilare dicotomia identico da me/diverso da me, le donne nella storia sono state considerate esclusivamente per la loro capacità di generare non solo l’identico a loro (altre donne), ma soprattutto il diverso da loro (uomini): per questo hanno costituito un mezzo imprescindibile per la generazione di figli maschi. Nel periodo in cui la canzone viene scritta (e nel più ampio sistema di pensiero leopardiano), inoltre, questa caratteristica assume particolare importanza: la generazione e l’educazione ai valori di coraggio, di lealtà, di riscatto, di patria risultano fondamentali.

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Donne, da voi non poco                      
La patria aspetta; e non in danno e scorno
Dell’umana progenie al dolce raggio
Delle pupille vostre il ferro e il foco
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno
Col divo carro accerchia, a voi s’inchina. (…)

Dall’apostrofe diretta a Paolina si passa a un appello più generale alle donne italiane, aggravate dal fondamentale ed emergenziale compito di generare ed educare la nuova generazione italiana.

Ragion di nostra etate
Io chieggo a voi. La santa  
Fiamma di gioventù dunque si spegne
Per vostra mano? attenuata e franta
Da voi nostra natura? e le assonnate
Menti, e le voglie indegne,
E di nervi e di polpe
Scemo il valor natio, son vostre colpe? (…)

In questo estratto l’autore pone una serie di interrogativi accusatori: egli chiede alle donne se la situazione di degenerazione rispetto a un periodo passato migliore sia dunque dovuta all’educazione impartita agli uomini di questa età, e di conseguenza alle donne stesse («son vostre colpe?»).

(…) O spose,     
O verginette (…)

Madri d’imbelle prole                        
V’incresca esser nomate. (…)

Questi due esempi di apostrofe alle donne sono esemplificativi: o mogli di uomini, o madri di futuri uomini, o verginette: la castità e l’intransigenza sono qualità necessarie e richieste nel comportamento femminile.

Qual de’ vetusti eroi
Tra le memorie e il grido                    
Crescean di Sparta i figli al greco nome;
Finché la sposa giovanetta il fido
Brando cingeva al caro lato, e poi
Spandea le negre chiome
Sul corpo esangue e nudo
Quando e’ reddia nel conservato scudo.(…)

Da questo momento in poi cominciano una serie di exempla del passato utili a rappresentare un modello di comportamento per le donne di questo periodo (ma si potrebbe dire di qualunque periodo storico). Il primo è quello della donna spartana, che coincide esattamente con la donna risorgimentale di cui abbiamo già accennato negli scorsi articoli: «giovanetta» che esorta il compagno soldato e lo piange quando torna ucciso (pena la vergogna: anche la disposizione al sacrificio, che è base del dovere di figlio della patria e uomo, non è un concetto prettamente risorgimentale, ma molto più antico).

Virginia, a te la molle                 
Gota molcea con le celesti dita
Beltade onnipossente, e degli alteri
Disdegni tuoi si sconsolava il folle
Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri
Nella stagion ch’ai dolci sogni invita,
Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe
Il bianchissimo petto,
E all’Erebo scendesti
Volonterosa. A me disfiori e scioglia
Vecchiezza i membri, o padre; a me s’appresti,
Dicea, la tomba, anzi che l’empio letto
Del tiranno m’accoglia.
E se pur vita e lena
Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena.

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Il secondo exemplum è quello di Virginia, che qui viene descritta come una bella giovane, «vaga», ovvero nel pieno del periodo illusorio e desideroso della gioventù; ella cade uccisa dal padre che, su richiesta della stessa, la trafigge pur di non farla cadere vittima di uno stupro. Dunque Virginia è vittima di un femmicidio: la sua morte è provocata da un uomo che la minaccia di violenza sessuale. Nella storia della letteratura, Virginia è un personaggio che è stato ripreso e utilizzato più volte, ma mai come vittima innocente di una violenza maschile, bensì come modello di purezza e integrità morale: anche in questo caso, la sua morte è elevata ad esempio per tutte le donne italiane. Questione molto simile per l’esempio seguente, quello di Lucrezia: anche il suo suicidio in seguito allo stupro da parte di Sesto Tarquinio è visto come necessario affinché la donna recuperi il suo onore e la patria -romana, in quel caso- torni al suo antico splendore:

O generosa, ancora
Che più bello a’ tuoi dì splendesse il sole
Ch’oggi non fa, pur consolata e paga
E’ quella tomba cui di pianto onora
L’alma terra nativa. (…)
Così l’eterna Roma
In duri ozi sepolta
Femmineo fato avviva un’altra volta.

Arianna De Gasperis

Fonti:

Leopardi Giacomo, Canti, a cura di Niccolò Gallo e Cesare Garboli, Einaudi, 2016.

Héritier Françoise, Dissolvere la gerarchia. Maschile/Femminile II, Cortina Raffaello, 2004.

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